breve pensiero sui professori

Una sera ho incontrato la mia professsoressa del Liceo ed é stato un incontro che secondo me doveva avvenire perché poco tempo fa ho ripreso in mano le momorie di adriano, un libro che 7 anni fa aveva suggerito alla classe di leggerlo, e mi era venuta la pazza idea di ringraziarla inviandole un’email. Sono passati 7 anni, ed eccommi qui, a scrivere questa riflessione sul ruolo del professore (ed in generali sulla figura di chi ci “guida” o “insegna”) dopo averla incontrata. Il ruolo del professore, come quello dei mentori, è quello di stimolare e aiutare a riconoscere il daimon interiore. Questo compito è particolarmente arduo poiché la maggior parte delle persone ha difficoltà ad ascoltarsi ed identificarlo. Il termine “daimon” deriva dal greco antico e significa letteralmente “distributore di destini”. Per psicologi come Hillman e Jung, rappresenta la “vocazione interiore”, una forza guida nel processo di individuazione e scoperta del sé. Tuttavia, la cultura romana ha successivamente trasformato questo concetto, attribuendogli l’accezione negativa di “demone” che persiste ancora oggi. Il professore, con la sua perseveranza semina i suoi semi ed offre al daimon una possibilità di crescita. Come una pianta che necessita di acqua, sole e nutrimento, il daimon, grazie alle parole e alle “spinte gentili” (Nudge, Richard Thaler, 2009) continua a svilupparsi e, in certi casi, cresce tanto da pretendere di essere riconosciuto. In questi momenti, la persona è costretta a prestare attenzione alla propria voce interiore ed il merito è anche del professore e delle sue parole. Charles Darwin, é stato fortemente aiutato e stimolato dal suo professore, tanto che é stato proprio lui a volerlo nel viaggio che lo portò in giro per il mondo dal 1831 al 1836. Questa esperienza fu fondamentale per la sua formazione scientifica, poiché gli permise di osservare una straordinaria diversità di specie animali e vegetali in varie parti del mondo e di raccogliere prove che avrebbero sostenuto la sua teoria rivoluzionaria sull’evoluzione. Bello, il professore aveva colto il daimon. Peró non é sempre necessario che qualcuno colga il daimon, Van Gogh, per esempio, che é sempre stato solitario, all’etá di 27 anni, scriverá a suo fratello «Fino ad ora sono stato un fannullone per forza … non sempre uno sa quello che potrebbe fare, ma lo sente d’istinto: eppure sono buono a qualcosa, sento in me una ragione d’essere!», riferendosi alla pittura, arte che ha influenzato i secoli a seguire. Di nuovo-bello. Il daimon, a cui si puó credere oppure no, non ha tempo, ne etá ma qualcuno ci puó aiutare a coglierlo o direzionarlo, nel mio caso mi sto riavvicinando alle materie umanistiche ed é anche grazie ad alcuni professori che ho avuto 7 anni fa al liceo.

buona settimana a tutti, grazie, ciao

Leonardo